La bioeconomia nel settore alimentare: quando lo scarto diventa risorsa

L’industria agroalimentare è un settore estremamente complesso, insito di sfide spinose che necessitano di un approccio interdisciplinare per essere affrontate. L’introduzione del paradigma circolare nel mondo del food rappresenta una delle risposte alle difficoltà del settore e necessita di un metodo sistemico che prenda in considerazione fattori ESG per la misurazione della sostenibilità e circolarità del cibo.

Tra queste sfide sono particolarmente rilevanti la crescita demografica, l’uso inefficiente delle risorse, la perdita di suolo, impatti negativi sul clima, terreni, oceani e lo spreco alimentare.

Relativamente quest’ultimo tema, in Italia, nel 2021 lo spreco alimentare raggiunge un livello pari a 67 kg per abitante corrispondente ad oltre 4 milioni di tonnellate di cibo sprecato e non redistribuito (Joint Research Center UE).

Secondo l’Osservatorio Waste Watcher International da un punto di vista economico lo spreco alimentare vale 9 miliardi di euro. Confrontando questo dato con quello relativo alla povertà si ottiene uno scenario drammatico: oltre 2,6 milioni di persone faticano a nutrirsi regolarmente a causa dell’aumento del costo della vita e quasi il 10% della popolazione italiana vive in condizione di povertà (Istat).

L’applicazione dell’economia circolare al settore alimentare assicurerebbe la prevenzione della produzione di scarti e la redistribuzione del surplus commestibile di cibo.

Si incastra perfettamente in questo contesto la bioeconomia basata su un utilizzo responsabile e circolare delle risorse biologiche e dei processi produttivi degli alimenti e prodotti biologici. La sua applicazione ha un elevato potenziale in grado di contribuire a due delle più grandi sfide attuali: la lotta al cambiamento climatico e allo spreco alimentare.

Fattori ESG e KPI

Per poter monitorare e misurare la circolarità di un alimento devono essere considerati alcuni importanti fattori, primo fra tutti il metodo di produzione. Coltivazioni e allevamenti intensivi con un ampio uso di fertilizzanti e antibiotici, non solo producono un ingente quantità di gas climalteranti ma contribuiscono anche alla degradazione del suolo. Metodi produttivi più virtuosi sono, ad esempio, rappresentati dalla policoltura e dalle coltivazioni biologiche. Nel primo caso si tratta di una forma di agricoltura che prevede la piantumazione di più di una specie vegetale nello stesso terreno contemporaneamente, questa strategia garantisce la diminuzione dei trattamenti chimici, un decremento dell’incidenza di parassiti e un miglioramento della qualità del suolo.

L’agricoltura biologica,il cui scopo è avere un impatto ambientale limitato attraverso la conservazione della biodiversità, è invece inquadrata come uno degli obiettivi chiave della strategia per la sostenibilità alimentare “farm to fork” dell’UE.

In secondo luogo, è importante considerare l’origine e la filiera di un prodotto e prediligere alimenti locali in modo da contribuire all’abbattimento delle emissioni derivanti dal trasporto. Allo stesso modo, è rilevante valutare la dimensione etica del cibo e il packaging.

Indicatori chiave di prestazione utili per l’analisi circolare del sistema alimentare sono:

  • carbon footprint: con impronta di carbonio si intende l’indicatore che permette di stimare le emissioni di gas serra generate da un servizio, prodotto, impresa o individuo calcolate lungo l’intero ciclo di vita. L’unità di misura più utilizzata è tonnellate di CO2 equivalente.
  • water footprint: l’impronta idrica è un indicatore che indica il consumo diretto e indiretto di acqua dolce di un consumatore o produttore. Viene misurata come il volume totale di acqua dolce utilizzata per la produzione di un bene per unità di tempo.
  • tasso di circolarità: definito come la percentuale di risorse materiali provenienti da prodotti riciclati e materiali recuperati, risparmiando così la produzione di materie prime.

Esempi virtuosi

Nello scenario presentato risulta evidente come sia urgente l’implementazione di nuovi modelli di produzione per garantire una filiera del cibo responsabile.

Fortunatamente esistono già realtà che si fanno promotrici di questo cambiamento e che rappresentano una fonte di ispirazione all’interno del settore del food.

Ne è un esempio l’applicazione, già in uso da molte imprese, di materiali derivanti dall’agricoltura per la produzione di fibre tessili in sostituzione di tessuti sintetici prodotti da combustibili fossili.

In questo contesto spicca l’utilizzo delle fibre delle foglie di ananas per la realizzazione di eco-pelle. Questo processo risulta particolarmente virtuoso in quanto utilizza gli scarti produttivi di una coltivazione già esistente e quindi non richiede un ulteriore utilizzo di risorse come acqua, suolo o fertilizzanti.  

Inoltre, viene riportato nel documento “sustainable and circular bioeconomy in the climate agenda” della FAO, che nelle FIlippine le fasi preliminari del processo produttivo del filato derivante da ananas viene svolto da cooperative femminili locali contribuendo alla loro emancipazione e alla creazione di nuove opportunità lavorative.

Anche in Italia non mancano modelli di eccellenza, ne è un esempio il gruppo Caviro: la più grande cooperativa vinicola in italia. L’azienda infatti utilizza come materia prima anche le vinacce e le fecce di vino universalmente considerate come scarti di produzione. Le applicazioni per queste materie sono molteplici, è infatti possibile ottenere diversi tipi di alcol utilizzabili in settori disparati, che vanno dall’industria farmaceutica a quella alimentare. Inoltre, il gruppo utilizza parte della biomassa prodotta, normalmente conferita in discarica, per la produzione di biometano contribuendo in questo modo alla generazione di energia pulita.

E’ opinione comune che i modelli di economia circolare siano applicabili solo a piccole imprese, questo esempio smentisce tale ipotesi dimostrando che è possibile attuare questo nuovo paradigma anche su larga scala.

In conclusione, è chiaro come la circolarità, una volta applicata capillarmente, possa garantire benefici straordinari all’industria del cibo. La produzione rigenerativa degli alimenti porta inevitabilmente a conseguenze positive quali: terreni stabili e sani, miglioramenti nella qualità degli ecosistemi globali, migliore qualità di aria e dell’acqua.

Attraverso l’economia circolare è possibile ridisegnare un sistema alimentare che sia equo, non produca rifiuti e garantisca a tutti l’accesso al cibo.

FONTI:

https://www.diid.it/diid/index.php/diid/article/view/diid73_fassio/diid73_fassio

https://www.caviro.com/

https://www.fao.org/3/cc2668en/cc2668en.pdf

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