La COP 27 conclusasi il 20 novembre a Sharm el Sheik non ha prodotto i risultati attesi. E’ quindi urgente la necessità di implementare misure più stringenti per rispettare gli obiettivi degli Accordi di Parigi attraverso una transizione energetica e circolare.
Si è da poco conclusa la ventisettesima Conferenza delle Parti, tenutasi a Sharm el Sheik dal 6 al 20 novembre. La conferenza ha visto partecipi 45 mila persone, 120 leader mondiali e 196 paesi.
Le COP sono uno strumento istituito dalla convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) nel 1992. La conferenza si riunisce su base annuale per discutere, con i leader politici della maggior parte dei paesi del mondo, questioni relative ai cambiamenti climatici.
Le aspettative verso l’edizione del 2022 erano quelle di ottenere obblighi più stringenti e ambiziosi rispetto a quelli ricavati dalla COP 26 di Glasgow. Infatti, analizzando gli obiettivi presentati durante la scorsa Conference Of Parties risulta evidente la necessità di un cambiamento di rotta: le politiche approvate nel 2021 porterebbero a un aumento di 2,8°C entro la fine del secolo, ben superiore agli 1,5°C stabiliti dagli accordi di Parigi.
La necessità di adottare misure e impegni maggiori traspare anche dagli ultimi report IPCC e il rapporto del Programma ONU per l’ambiente. Si stima infatti che, per adattarsi ai cambiamenti climatici, ai paesi più poveri servano fondi fino a 10 volte superiori rispetto a quelli che ricevono al momento. Risulta quindi chiaro come gli attuali sforzi non siano sufficienti ad affrontare la crisi climatica.
Risultati
Il Sharm el-Sheikh Implementation Plan approvato nell’ultima giornata della COP 27 ha sancito l’urgenza di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, sottolineando la necessità di ridurre le emissioni di gas climalteranti al fine di evitare un aumento delle temperatura media globale maggiore. Nonostante ciò, non è stato raggiunto un accordo che regoli il processo di decarbonizzazione e di abbandono dei combustibili fossili. Di particolare rilevanza in questo contesto è l’intervento dei rappresentanti dell’isola di Tuvalu, piccola nazione del Pacifico, che ha richiesto l’adozione di un trattato internazionale di non proliferazione dei combustibili fossili. La proposta non è stata accolta, confermando l’assenza di un piano di mitigazione per ridurre le emissioni di gas climalteranti.
Il tema centrale delle settimane della Conferenza Delle Parti è stato l’adattamento che comprende tutte le misure volte a prevenire e ridurre il rischio climatico. Tale tema è inevitabilmente legato al concetto di rischio climatico e quindi di vulnerabilità e esposizione agli effetti dei cambiamenti climatici. I paesi più soggetti a questi impatti sono i paesi in via di sviluppo sia a causa della loro posizione geografica che delle risorse economiche limitate e insufficienti ad affrontare le spese di riparazione. Per questo motivo, il tema cardine della COP 27 è stato l’adattamento legato ai paesi del sud del mondo.
In tutto il globo la frequenza degli eventi meteorologici estremi sta aumentando vertiginosamente, colpendo con più violenza tali paesi. Da ricordare l’inondazione avvenuta a giugno in Pakistan dove sono state registrate più di 1.000 vittime e più di 7,6 milioni di persone sono rimaste senza casa.
A tal proposito è stata sottolineata la rilevanza del principio delle responsabilità comuni ma differenziate secondo cui in considerazione del differente contributo al degrado ambientale globale, gli stati hanno responsabilità comuni ma diverse.
Al fine di garantire maggiore equità è stata raggiunto un accordo per l’istituzione di un fondo loss&damage, ossia un fondo da elargire ai paesi in via di sviluppo per fronteggiare l’emergenza climatica da parte dei paesi più sviluppati che hanno contribuito maggiormente al riscaldamento globale.
Il ruolo dell’economia circolare
I negoziati finali della COP 27 hanno reso lampante l’urgenza di intraprendere un percorso di transizione al fine di limitare la produzione di gas a effetto serra e garantire sicurezza energetica.
Per poter raggiungere tale obiettivo l’approccio circolare risulta centrale: attraverso l’implementazione dei principi di questo modello e un graduale abbandono del business as usual sarà infatti possibile ridurre parte delle emissioni di gas climalteranti.
Affinché vengano raggiunti risultati significativi è essenziale che la transizione verso una produzione di energia pulita e verso l’economia circolare avvengano all’unisono, supportandosi a vicenda.
Attraverso l’eliminazione e la riduzione di rifiuti e inquinamento, conseguenti al perseguimento di modelli di produzioni circolari, si ottiene ineluttabilmente un decremento delle emissioni lungo tutta la catena del valore.
Allo stesso modo il riutilizzo e riuso di materiali e prodotti comporta un risparmio di emissioni altrimenti generate durante il processo di produzione di nuovi beni sostitutivi.
In ultimo, l’aspetto rigenerativo del capitale naturale, insito nel nuovo paradigma economico, contribuisce a catturare e sequestrare carbonio.
L’economia circolare, a causa della sua versatilità, risulta applicabile a tutti i settori produttivi dall’industria agricola a quella automobilistica rappresentando una possibilità concreta di creare un sistema economico a basso impatto ambientale.
FONTI:
http://www.comitatoscientifico.org/temi%20CG/clima/index.htm
http://www.comitatoscientifico.org/temi%20CG/documents/Cop27Decision.pdf
https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg2/downloads/report/IPCC_AR6_WGII_SummaryForPolicymakers.pdf
https://ellenmacarthurfoundation.org/articles/cop27-key-takeaways