Nuovo decreto End of Waste: specifiche e criticità

Lo scorso 15 luglio il Ministero della Transizione Ecologica (MiTE) ha firmato il decreto End of Waste che stabilisce i nuovi criteri nel rispetto dei quali i rifiuti da costruzione, demolizione e di altra origine minerale, sottoposti a operazioni di recupero, cessano di essere qualificati come rifiuti. 

In particolare il termine End of Waste si riferisce ad un procedimento grazie al quale un rifiuto, dopo essere stato sottoposto ad un processo di recupero, perde la qualifica di rifiuto per acquisire quella di prodotto.

Questo tipo di specificazione porta alla separazione tra ciò che è rifiuto e ciò che non lo è più, ed è essenziale per assicurare l’efficacia degli strumenti legislativi preposti al raggiungimento degli obiettivi ambientali comunitari. Inoltre, risulta cruciale al fine di limitare i rischi per ambiente e salute che possono derivare da una mala gestione degli scarti di produzione o di consumo. Attraverso il decreto, si cerca infatti di stabilire criteri ambientali di “alto livello”, al fine di migliorare le caratteristiche dei prodotti recuperati e, conseguentemente, le prestazioni, ottenendo una ripercussione positiva sul livello di fiducia dei consumatori finali nei confronti di tali prodotti.

Il decreto risulta fondamentale per il Paese, in quanto quasi la metà dei rifiuti prodotti in Italia annualmente provengono dal settore edile: si tratta di scarti provenienti dalle attività di costruzione e demolizione di edifici o da interventi di ristrutturazione.

Le statistiche ufficiali evidenziano un tasso di avvio a recupero (riutilizzo, riciclaggio, altre forme di recupero di materia) che si attesta al 78% dei rifiuti da costruzione e demolizione prodotti. Molto diversa è invece la situazione descritta dagli operatori del settore, che sottolineano la presenza di materiali da costruzione lasciati nei magazzini o comunque non utilizzati nei cantieri per mancanza di mercati competitivi.

Inoltre, la filiera del recupero presenta un alto tasso di illegalità: è infatti tra i settori con il più alto ricorso agli abbandoni incontrollati, come dimostrato dai dati sui sequestri di siti di smaltimento non autorizzati. Una buona parte di queste problematiche derivano dal fatto che questa tipologia di rifiuti è stata oggetto di un quadro di regolamentazione confuso e per certi versi contraddittorio: è da infatti quasi 10 anni che i rifiuti da costruzione e demolizione attendono un apposito decreto End of Waste che favorisca la nascita di catene del valore efficaci e certe. Risulta pertanto scontata l’importanza che il decreto potrà avere nell’accelerare il passaggio del settore da un’economia lineare a una circolare. 

Vediamo ora nel dettaglio come si struttura il nuovo decreto e quali specifiche tecniche dovranno essere soddisfatte per far sì che il rifiuto risultante dal processo di recupero non sia più da considerarsi come tale, in quanto oggettivamente divenuto un prodotto.

Il decreto ministeriale è strutturato in 8 articoli e 3 allegati. In particolare nell’articolato vengono presentati: l’oggetto, la finalità e l’ambito di applicazione; le definizioni e i criteri per ottenere gli End of Waste; gli utilizzi ammissibili; le responsabilità del produttore del rifiuto al quale compete la caratterizzazione e quelle del produttore dell’aggregato che attesta, autocertificandosi, il rispetto di quanto previsto dalla legge; la necessità per il produttore dell’aggregato di dotarsi di un sistema di gestione certificato; la facoltà per il ministero di rivedere i criteri all’esito di un monitoraggio sull’attuazione; il regime transitorio. 

Nel primo allegato è invece possibile trovare l’elenco dei rifiuti ammessi al recupero, nonché le disposizioni sul processo di gestione e trattamento, le concentrazioni limite sull’aggregato e le norme tecniche per la certificazione CE dell’aggregato recuperato. Gli allegati 2 e 3 invece contengono rispettivamente gli utilizzi ammissibili con le norme tecniche Uni da rispettare e il modello della dichiarazione di conformità. 

Le disposizioni devono però sottostare alle seguenti condizioni che specificano quando il rifiuto risultante dal processo di recupero non sia più da considerarsi come tale. 

Innanzitutto, la sostanza e l’oggetto dovranno essere utilizzati per scopi specifici: in altri termini, la sostanza o l’oggetto devono poter essere utilizzabili in ambiti applicativi noti e preventivamente individuati, conosciuti e definibili.

Altra condizione obbligatoria è l’esistenza di un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto, in quanto dimostra che il bene derivante dal processo di recupero difficilmente sarà abbandonato o smaltito illegalmente, perché ritenuto utile da una pluralità di soggetti disposti ad acquistarlo.

La sostanza o l’oggetto dovranno poi soddisfare i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispettare la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti. L’output dell’operazione di recupero dovrà avere caratteristiche predeterminate (requisiti tecnici), essere in grado di garantire le prestazioni richieste in concrete condizioni di utilizzo o consumo (scopi specifici) ed essere conforme sia alla legislazione cogente applicabile (normativa) sia alle norme tecniche relative a quel tipo di bene (standard).

Infine, è richiesto che l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non portino a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. Pertanto, dovrà essere fornita documentazione atta a dimostrare che, rispetto all’utilizzo di nuova materia prima, il prodotto recuperato non comporti esternalità negative legate alle sue caratteristiche.

Il decreto ministeriale, pur essendo necessario e atteso da tutti gli operatori del settore, non è stato esente da critiche. Molte organizzazioni hanno infatti sottolineato numerose criticità, che potrebbero impedire il corretto raggiungimento degli obiettivi comunitari, bloccando del tutto la transizione circolare richiesta per l’edilizia italiana. 

Le associazioni spiegano che a determinare la situazione di allarme sono soprattutto i criteri dei controlli da effettuare sui prodotti delle lavorazioni, indicati nelle tabelle allegate al decreto e, in particolare, i valori di concentrazione limite di solventi e idrocarburi policiclici aromatici (Ipa). Adottando questi limiti, infatti, si darebbe origine a prodotti non conformi al decreto pur avendo sottoposto i materiali al corretto processo di riciclo. Per cui, non resterebbe che conferirli in discarica come rifiuti o, nel peggiore dei casi, finirebbero abbandonati nell’ambiente. 

L’errore, evidenziato dalle organizzazioni di settore, rischia di bloccare non solo la filiera del riciclo, ma anche quella delle costruzioni, da cui provengono i rifiuti in questione e a cui sono in parte destinati gli aggregati da recupero. 

Di tempo per un’inversione di rotta ormai ne rimane pochissimo: il decreto da tempo atteso presenta norme transitorie che darebbero fiato al settore solo fino all’inizio del nuovo anno, quando entrerà ufficialmente in vigore. A inizio 2023 quindi i 1.800 impianti presenti sul territorio nazionale per il recupero dei rifiuti da costruzione e demolizione, non potendo produrre prodotti conformi a partire dagli inerti, sarebbero di fatto costretti a cessare la propria attività, con conseguenze gravissime per il sistema di riciclo dell’edilizia italiana e un rallentamento notevole della transizione verde che necessitiamo. 

 

Fonti:

https://www.tuttoambiente.it/commenti-premium/end-waste-facciamo-il-punto/

https://portale.assimpredilance.it/uploads/allegati/bozza_eow_inerti_luglio22_1_.1658234881_62dabd65bebdc.pdf

https://greenreport.it/news/economia-ecologica/il-paradosso-dellend-of-waste-per-i-materiali-inerti-che-potrebbe-bloccarne-del-tutto-il-riciclo/

https://www.rinnovabili.it/greenbuilding/rifiuti-da-costruzione-end-of-waste-dm/

https://www.tuttoambiente.it/commenti-premium/cos-e-end-of-waste/

https://circulareconomynetwork.it/2022/06/24/rifiuti-da-costruzione-e-demolizione/

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